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Poste, la Cassazione gela i consumatori sui buoni fruttiferi Q/P

Quattro ordinanze hanno dato ragione a Poste Italiane: i consumatori non avrebbero dovuto fidarsi di quanto scritto sulle cedole ma leggere le tabelle allegate al decreto che nel 1986 ha modificato i rendimenti.

La strada era ormai spianata, resa agevole da pronunciamenti dell’Arbitro e sentenze di tribunali ordinari. Poi sono arrivate quattro ordinanze della Cassazione a sbarrarla. E ora, a eno di grosse sorprese, il discorso sembra davvero chiuso: hanno vinto le Poste.

Quei buoni “ibridi”. La vicenda è quella dei buoni fruttiferi postali trentennali della serie Q/P emessi tra il 1986 e il 1995. Un guazzabuglio, del tutto evitabile, creato dalle stesse Poste, che anziché stampare nuove cedole di serie Q con i nuovi tassi di interesse (nel frattempo abbassati da un decreto ministeriale del 1986), ha messo in circolazione quella vecchie della serie P, apponendo solo un timbro con i nuovi tassi. Il problema è che il timbro – a volte sbiadito, altre illeggibile o leggibile solo in parte – riportava solo il rendimento per i primi vent’anni. In assenza di altre indicazioni i consumatori potevano intendere che, dal ventunesimo al trentesimo, valesse quanto indicato sulla cedola, cioè i tassi della vecchia serie P, che prevedevano rendimenti più alti.

Ed ecco che, alla scadenza dei 30 anni, migliaia di risparmiatori hanno incassato meno di quanto si aspettavano. Perché secondo Poste Italiane, i rendimenti di quei buoni così pasticciati erano quelli stabiliti dal decreto del 1986, anche in assenza di indicazioni sulla cedola.

Le vittorie dei consumatori. Di qui, la pioggia di ricorsi per farsi rimborsare secondo i tassi pre-1986. L’Arbitro bancario finanziario (Abf), un organo stragiudiziale che tenta di risolvere le controversie tra risparmiatori e istituti bancari, ha dato ragione ai consumatori in centinaia di pronunciamenti. Il principio riconosciuto da Abf è semplice: trattandosi di un accordo tra privati, vale quanto scritto sul contratto (cioè il buono stesso). E se sul buono è scritto in modo chiaro qual è il rendimento dell’ultimo decennio, il risparmiatore deve potersi fidare: il principio del “legittimo affidamento”. Abf ha chiesto a Poste di provvedere al rimborso della quota mancante, ma la società non l’ha mai fatto. Stessa sorte, favorevole ai risparmiatori, hanno avuto alcuni procedimenti giudiziari ordinari.

La doccia fredda. Insomma, quella dei buoni Q/P sembrava potesse essere una storia a lieto fine per tanti piccoli risparmiatori. Ma la prima sezione della Corte di Cassazione ne ha rovesciato le sorti. Con quattro ordinanze-fotocopia (la 4384, 4748, 4751 e 4763) ha dato ragione a Poste Italiane. In sostanza la Cassazione ribalta il principio del “legittimo affidamento”: il risparmiatore non avrebbe dovuto fidarsi di quanto scritto sulla cedola, ma sapere che nel frattempo era cambiata la legge; anche perché nella tabella allegata al decreto i nuovi rendimenti erano indicati in modo chiaro.

“È una battuta d’arresto nella tutela del consumatore: con queste ordinanze si è creata una giurisprudenza massiccia, e intentare un’azione legale ora diventa molto rischioso” commenta Emilio Graziuso, avvocato e responsabile del coordinamento dell’associazione nazionale Dalla parte del consumatore. Secondo Graziuso i risparmiatori dovrebbero essere invece rimborsati “anche perché si tratta di un accordo tra privati, un vincolo sancito da un contratto: e questo contratto è proprio il buono stesso. Anche se la legge prevede diversamente, è sul contratto che ci si dovrebbe basare”.

“Sono sentenze aberranti, semplicemente scandalose” tuona Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori (Unc): “I giudici hanno smentito la stessa Cassazione, che nel 2007 a Sezioni unite aveva ribadito il principio del legittimo affidamento. Ma hanno anche rinnegato anni di pronunciamenti dell’Abf in favore dei consumatori”.

“Le Poste sono sempre state rappresentate come un salvadanaio pubblico, sicuro e affidabile. In che modo un timbro raffazzonato avrebbe dovuto cambiare questo rapporto di fiducia tra cittadini e un’istituzione come le Poste? I risparmiatori avrebbero dovuto essere informati in modo massivo sul cambio dei tassi di interesse, sul fatto che i timbri indicavano solo i rendimenti dei primi 20 anni, invece in ufficio postale non gli è stato detto nulla: hanno ricevuto queste cedole pasticciate, e tanto gli è dovuto bastare” continua Dona.

Nel frattempo l’orientamento dell’Arbitro non sempra essere cambiato: anche dopo le ultime ordinanze della Cassazione, Abf sta continuando a dare ragione ai risparmiatori. E l’Unione nazionale consumatori invoca l’intervento del ministero dell’Economia Daniele Franco.

Fonte: La Repubblica

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